La Psicosi, tra Sistemi e Costellazioni

Riassunto: come si costruisce la psicosi nel sistema famiglia secondo un approccio sistemico? Gregory Bateson pone le basi per rispondere a questa domanda, sviluppando la teoria del doppio legame. I contributi di Mara Selvini Palazzoli, Danilo Solfaroli Camillocci e Gaspare Vella, forniscono ulteriori chiavi esplicative: gli stadi del processo psicotico in famiglia e la triade schizofrenica. Su queste premesse, Selvini e Pasin illustrano un modello terapeutico integrato.

Esiste una possibile interazione fra la teoria sistemica e la teoria delle costellazioni familiari nell’ambito della psicosi? Si forniranno possibili lenti interpretative, ripercorrendo l’epistemologia delle costellazioni familiari attraverso il contributo del fondatore Bert Hellinger.

Parole Chiave: psicosi, schizofrenia, Bateson, Hellinger, costellazioni familiari, doppio legame.

Abstract: how does psychosis generate in the family system according to a systemic approach?

Gregory Bateson lays the groundwork to answer to this question, developing the theory of the double bind. The contributions of Mara Palazzoli, Danilo Solfaroli Camillocci and Gaspare Vella, provide additional explanatory keys: the stages of the psychotic process in the family and the schizophrenic triad. On this basis, Selvini and Pasin illustrate an integrated therapeutic model. Is there a possible interaction between systems theory and the theory of family constellations in the context of psychosis? This paper will provide possible interpretive lenses, tracing the epistemology of family constellations through the contribution of the founder Bert Hellinger.

«Il saggio accetta il mondo, così com’è, senza paura e senza obiettivi. Si è riconciliato con la fugacità e non mira a ciò che va perso con la morte.

Riesce ad osservare, perché è in armonia, e interviene per quanto richiesto dal flusso della vita. Sa distinguere: va o non va perché è senza obiettiv.

La saggezza è il frutto di una lunga disciplina, tuttavia chi la possiede lo fa senza fatica.

È sempre in cammino e raggiunge la meta, non perché cerca. Cresce». ²

La costruzione della psicosi nel sistema famiglia

Il doppio legame in Bateson

Bateson (1956) riconduce la psicosi a una patologia relazionale e mostra come la comunicazione distorta dello schizofrenico e le dinamiche comunicative double bind diventino enormemente più comprensibili se l’osservazione si sposta dalla monade (l’organismo con l’insieme dei suoi processi intrapsichici, dei suoi pensieri, delle sue intenzioni e delle sue emozioni soggettive) al sistema (contesto) con cui la monade interagisce. La teoria del doppio legame sfrutta il complesso teorico degli studi sulla comunicazione per fornire una chiave esplicativa di disturbi classicamente legati a problemi interni all’individuo. La malattia mentale emergerebbe come risposta a una situazione d’indecidibilità pragmatica legata alla paradossali tà dell’ambiente cognitivo. Questa condizione si realizza tramite la confusione tra messaggi di tipo logico diverso (emessi indifferentemente tramite codificazioni analogiche o digitali), di cui uno nega l’altro, all’interno di una situazione in cui non è possibile metacomunicare sull’intero processo e quindi risulta impossibile uscire dal sistema paradossale. Nella famiglia la comunicazione svolge una funzione omeostatica volta al mantenimento della stabilità delle relazioni esiste nti, necessaria per la sua sopravvivenza. Nel caso in cui tale equilibrio sia schizofrenico, la stabilità è mantenuta attraverso il sacrificio del componente più debole che assume su di sé tutta lafollia. Il paziente identificato si sacrifica per mantenere la sacra illusione che quanto dice il genitore ha senso. Attraverso la schizofrenia manifesta del figlio, i genitori riescono a mantenere un’apparenza di normalità che copre la loro schizofrenia celata, occultando i loro disturbi.

² Bert Hellinger.Gli ordini dell’aiuto (2006, p.11).

 2 La triade schizofrenica: giochi psicotici e ruoli-maschera

Le dinamiche comunicative double bind, la loro funzione omeostatica nel sistema famiglia e il mantenimento dell’equilibrio schizofrenico attraverso il sacrificio del paziente designato, possono essere connessi agli specifici processi in famiglia che conducono alla costruzione della psicosi. Mara Selvini Palazzoli (1988) illustra un possibile modello stadiale diacronico, relativo all’evoluzione dei giochi psicotici in famiglia che conducono al manifestarsi della sintomatologia schizofrenica. La descrizione della triade schizofrenica in famiglia, è ripresa anche da Danilo Solfaroli Camillocci e Gaspare Vella (2006) che ne propongono un modello descrittivo, basato sulle dinamiche relazionali e comunicative di coppia. Seguendo il modello stadiale diacronico (Selvini Palazzoli, 1988), si possono identificare sei stadi.

Lo stallo nella coppia genitoriale. Il gioco necessario per generare un sintomo psicotico è lo stallo, mirato ad evitare l’escalation e quindi un possibile scisma. Uno dei coniugi a volte esibisce una serie appariscente di mosse d’attacco, di provocazioni, di apparenti trionfi (provocatore attivo); sembra che stia per vincere, ma l’altro, quietamente, invariabilmente, sfodera una mossa che azzera il punteggio (provocatore passivo). L’invischiamento del figlio nel gioco di coppia. L’errore epistemologico del futuro paziente designato, consiste nell’attribuire linearmente ragioni e torti, scambiando il provocatore passivo per vittima e quello attivo per carnefice. È probabile che il genitore perdente ricerchi attivamente la solidarietà del figlio, assumendo atteggiamenti seduttivi (sospiri, velate allusioni alla propria infelicità) o accettando le offerte parimenti seduttive del figlio stesso (con scambi di sguardi e confidenze). Questa è la fase più segreta del processo. Le comunicazioni seduttive, affidate all’implicito e all’analogico, possono essere interpretate come ambigua promessa (ogni seduzione lo è). Il paziente si coinvolge nel gioco allettato da questa promessa, il cui mantenimento è però continuamente differito e ambiguamente negato, instaurandosi così un tipico andamento oscillante. Ciò che differenzia tale configurazione dal classico triangolo perverso descritto da Haley (1967) è un’ulteriore caratteristica della coalizione: oltre ad essere sotterranea, trans generazionale e negata, è pressoché esclusivamente strumentale. In questo risiede la potenziale patogenicità: non si t ratta di un’offerta di relazione incestuosa compensatoria, bensì di un legame che mira esclusivamente a perpetrare il gioco di stallo genitoriale. Il comportamento inusitato del figlio. Ossessionato dal gioco, il futuro paziente designato decide di entrarvi apertamente. Fino ad allora, la solidarietà nei confronti del genitore perdente si era manifestata con segnali quasi impercettibili: ora sarà testimoniata da fatti che non potranno passare inosservati. Si manifestano nuovi comportamenti provocatori, aggressivi e di forte

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protesta, ma senza caratteri di patologia, che perseguono un duplice obiettivo: sfidare l’arroganza del genitore e mostrare al genitore perdente come dovrebbe fare per ribellarsi. Il voltafaccia del presunto alleato. È possibile che dopo il terzo stadio, il genitore vincente e il genitore perdente possano recedere, ma se ciò non accade il figlio ha fallito clamorosamente il suo duplice obiettivo e i genitori continuano a perpetrare i rispettivi ruoli nel gioco di stallo. Il genitore perdente può inoltre, come estremo voltafaccia, schierarsi con il genitore vincente contro il figlio, disapprovandolo e persino punendolo, passando così dalla parte di colui che il figlio ingenuamente riteneva il nemico comune. Lesplosione della psicosi. Fallito nel proposito di sottomettere il genitore vincente e tradito dal compare segreto, il figlio presumibilmente vive sentimenti compositi, in cui si fondono la depressione per il tradimento subito e il senso d’impotenza, insieme ad una cieca furia distruttiva, ad una smania affannosa di rivincita. Cresciuto in un contesto d’apprendimento dominato dal gioco di stallo dei suoi genitori, il paziente non concepisce la possibilità di dichiararsi sconfitto. La sintomatol ogia psicotica sarà l’arma che gli consentirà di prevalere, dove ha fallito il comportamento inusitato. Le strategie basate sul sintomo. Dal momento in cui la psicosi esplode, ogni membro della famiglia può organizzare una strategia attorno al sintomo: ciò ha l’effetto pragmatico di mantenere i l sintomo stesso. Il genitore perdente ricava vantaggio da quegli aspetti della sintomatologia del figlio che sono più direttamente rivolti contro il genitore vincente; è quindi possibile che, ogni volta che il figlio tenti di abbandonare il sintomo psicotico, trovi nel genitore perdente un ostruzionista nascosto, confondente quanto implacabile, che può esprimere una manifesta tolleranza nei conf ronti dei sintomi del figlio. L’altro genitore, il vincente, quando non si è ancora giunti al sesto stadio, potrebbe comportarsi come strenuo sostenitore della terapia, nell’idea di accettare entusiasticamente ogni possibile aiuto per liberarsi dalle catene offerte dalla sintomatologia del figlio. Quando si passa al sesto stadio, spesso anche il genitore vincente si oppone, in modo sotterraneo, a un mutamento dello status quo. Anch’egli, infatti, ha ormai elaborato una strategia fondata sul presupposto che il sintomo persisterà e si comporta così in modo da mantenerlo. La guarigione del paziente designato, potrebbe significare smuovere lo stallo coniugale che si protrae stereotipicamente. Così, a questo stadio, entrambi i genitori possono risultare avversari ugualmente implacabili nel lavoro terapeutico.

Danilo Solfaroli Camillocci e Gaspare Vella (2006) specificano la possibile esistenza di due tipi di stallo coniugale, connessi all’adozione stereotipica di ruoli maschera. Nello stallo definito per opposizione uno dei due coniugi appare sconfitto, paralizzato, dominato dall’altro, che si mostra invece determinato, agguerrito, impositivo. Le mosse di quest’ultimo rientrano nell’ambito definito

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della provocazione-sfida (“faccio ciò che tu non sai o non vuoi fare”) e de lla provocazione- trasgressione (”faccio ciò che so che tu non approvi”): per conv enzione chiamiamo questo coniuge

il coniuge apparentemente stimolatore. Le contromosse dell’altro sono invece del tipo provocazione-omissione (“non faccio ciò che ti aspetteresti”) e provocazione-muro di gomma

(“agitati quanto vuoi tanto non mi scomponi”): lo c hiameremo coniuge apparentemente inibitore. Anche nello stallo definito per raggiro troviamo un coniuge apparentemente stimolatore, intransigente, fortemente ansioso e restrittivo, forse tendenzialmente tirannico. Le sue azioni provocatorie rientrano nell’ambito della provocazione-sfida (“Qui si fa come dico io”). Tuttavia egli appare isolato, ininfluente, isterilito in una muta protesta che attende, e non trova, il modo di esprimersi efficacemente e credibilmente. Il resto della famiglia sembra appena scalfito da questo suo tentativo di determinare i comportamenti e i valori: formalmente nulla si muove contro di lui, ma egli è oggetto di una rete di raggiri che ne determina una pressoché totale disconferma. Ciò si costruisce attraverso le contromosse del coniuge apparentemente inibitore: comportamenti di provocazione-omissione (“Non faccio ciò che tu vuoi che io faccia”) e anc or più di provocazione-

raggiro (“Faccio, dietro le tue spalle, ciò che so che tu non vuoi”). La cristallizzazione dei giochi di

stallo comporta, come mossa-contromossa ulteriore, un’attribuzione reciproca di ruolo, non smentita, che suona funzionale al rigido equilibrio della coppia. Questi sono chiamati ruoli- maschera. I ruoli maschera sono una designazione stereotipa di un’immagine che ciascun coniuge accredita dell’altro con se stesso e con le altre persone della famiglia, in primis i figli. Il bisogno di dare un senso cognitivo ed emotivo dell’altro rimane un bisogno vitale: gli atteggiamenti e i comportamenti reciproci aprono continuamente spazi di inspiegabilità e di sofferenza. Diviene allora imperativo imporre o iniettare significati nell’altro: infatti, se questi accetta l’attribuzion e di significati, allora si ha la sensazione e l’illusione di essere pervenuti ad una validazione consensuale. Si tratta, però, solo di un’impression e e non di una certezza, in quanto l’attribuzione di idee, sentimenti, desideri e motivazioni, non riceve una chiara conferma né una netta smentita. Questo meccanismo di attribuzione è il nucleo dei ruoli maschera. Questi ruoli hanno connessioni e fondamenti nella realtà, ma la caratterizzazione e l’uso strumentale che ne vengono fatti, determinano un incapsulamento reciproco dei coniugi nel ruolo attribuito. Il ruolo maschera ha come obiettivo la salvaguardia del consenso reciproco ma contribuisce a perpetrare la non definizione reciproca.

Nella triade schizofrenica si riscontrano quindi una mancanza di definizione e l’occultamento di significati, che determinano difficoltà a dare sign ificato all’esperienza. Il figlio/a, che è impegnato evolutivamente nella costruzione del proprio Sé, nesubisce le conseguenze più drammatiche: fatica

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a entrare in un rapporto reale e costruttivo con i genitori e ne consegue l’impossibilità di costruire parti rilevanti della propria identità. La relazion e con i genitori risulta soffocante e inficiata dall’occultamento di significati operati attraverso l’adesione ai ruoli-maschera. La sensazione è di frammentazione e di oscillazione fra una posizione di aquiescenza e accettazione passiva della realtà data dai genitori e una posizione di attacco , duro e provocatorio. La scoperta dell’inconsistenza dei ruoli maschera determina la comparsa di aspetti spaventosi e ignoti in una realtà fino a quel momento nota e familiare, anche se contraddittoria e ambigua. Il collegamento di significati opposti, che ne deriva, determina l’emergere di aspetti oscuri e minacciosi, che il figlio non riesce a riconoscere e ad elaborare. La sua esperienza ne risulta invalidata e la potenziale esplicitazione aperta dei significati occultati è al contempo desiderata e terrorizzante. La sua mente, nel tentativo di riconciliare l’inconciliabile, di ricercare e di respingere la verità, non sembra ave re alternative all’elaborazione secondo una logica dissociativa. L’occultamento di significati (che opera tramite la non definizione, il delirio, la catatonia) e l’atteggiamento provocatorio che esibisce, sembrano agire come un potente mezzo per riequilibrare la relazione, come un inefficace mezzo per provocare/invocare una maggiore definizione da parte dei genitori.

Terapia sistemica e psicosi

Linehan (1993) ritiene che la collaborazione con la famiglia e l’alleanza con il paziente siano le due aree fondamentali che devono guidare nell’utilizzo degli strumenti della psicoterapia e della farmacoterapia. La presa in carico da parte di un’équipe stabile e collaborativa è condizione fondamentale. La terapia delle psicosi deve essere contemporaneamente familiare e individuale in tutti i casi dove ci sono risorse per il cambiamento. Quando è possibile attuarlo, il movimento terapeutico fondamentale consiste nella riattivazione o nella ristrutturazione del legame di attaccamento del paziente nei confronti di almeno un genitore. L’intervento sulla riorganizzazione dei legami di attaccamento è quindi una sorta di terapia della riconciliazione, con i genitori e con i familiari, che deve basarsi sull’integrazione delle loro immagini contraddittorie divise tra idealizzazione e demonizzazione. Un paziente psicotico può riattivare un processo di autoconoscenza (abbandonando quindi le difese psicotiche) nel momento in cui si sente fondamentalmente protetto: di qui l’obiettivo terapeutico strategico e centrale di aiutare la famiglia a divenire una base sicura. Movimenti di autonomizzazione del paziente, si sono dimostrati progressi affidabili solo nel contesto di una solidità del le game familiare di affiliazione e appartenenza.

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Un esempio di modello trattamentale della psicosi, può essere esemplificato dal protocollo sistemico familiare-individuale (Selvini, Pasin, 2005), basato sulla teoria dell’attaccamento e sull’integrazione di concetti individuali (sintomo come difesa della sofferenza) e relazionali – sistemici (sintomo come reazione a una difficile posizione del paziente nel sistema). La tradizionale correlazione sistemica tra sintomo e famiglia è completata e complessificata con l’inserimento di un terzo polo: i tratti di personalità del paziente. L e relazioni familiari contribuiscono a costruire la personalità del soggetto, che in un momento diffici le del suo sviluppo strutturerà un determinato sintomo. Tale modello tratta mentale si articola nei seguenti punti:

1)Relazione terapeutica basata sulla trasparenza, sul consenso e sulla collaborazione (e non sulla provocazione e il paradosso).

2)Attiva ricerca di alleanza privilegiata con il paziente al fine di aiutarlo a ricostruire un attaccamento sicuro nella famiglia e/o con il terapeuta. La definiamo una terapia della riconciliazione.

3)Una presa in carico basata sul lavoro in équipecon lo specchio unidirezionale. Le convocazioni alternano le sedute familiari con sedute individuali e con sottogruppi della famiglia (genitori, fratelli).

4)Integrazione di trattamento psicoterapeutico e trattamento farmacologico, intervento comunitario (se necessario) e programma riabilitativo.

5)Strategia terapeutica basata sul riconoscimento sia dei deficit che delle risorse del paziente, nel rifiuto di una definizione di malattia psichica globalmente invalidante e stigmatizzante.

Teoria delle Costellazioni Familiari

Bert Hellinger: epistemologia delle costellazioni familiari

Bert Hellinger (1925), dopo venticinque anni di sacerdozio come studioso di filosofia, teologia, pedagogia e teosofia, di cui sedici trascorsi come missionario tra gli Zulu in Africa, ritornò in Europa nel 1969 per iniziare un corso di psicoanalisi a Vienna. Nello stesso anno visitò Arthur Janov negli Stati Uniti e completò un corso di nove mesi sulla Primal Therapy. Si interessò alla terapia della Gestalt attraverso Ruth Cohen e Hilarion Petzold e, tramite Fanita English, si approcciò all’Analisi Transazionale e al lavoro di Eric Berne sull’ analisi dei copioni. Il libro di Ivan

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Boszormenyi-Nagy “ Invisible Bond” gli fornì un importante contributo nel tracciare le linee fondamentali delle cosiddette “fedeltà nascoste” (g li irretimenti) e del bisogno di un equilibrio tra il dare e l’avere all’interno delle famiglie. Anche elementi dello psicodramma di Jacob Levi Moreno e di scultura familiare di Virginia Satir confluiscono nella sua preparazione. Approcciò la Terapia familiare sistemica con Ruth McClendon e Leslie Kadis. Lavorando con Thea Schönfelder, si accostò all’Ipnositerapia di Milton Erickson e alla Programmazione neuro linguistica (PNL) di Richard Bandler e John Grinder. Anche la Provocative Therapy di Frank Farrelly ha avuto su Hellinger un’influenza importante, così come la Holding Therapy sviluppata da Jirina Prekop. Come per il filosofo Martin Heidegger, la base del lavoro di Bert Hellinger risiede nella sua insistenza sul vedere ciò che è (opposta alla cieca accettazione di ciò che ci vie ne detto) e in combinazione con una non vacillante lealtà e fiducia nella propria a nima. Bert Hellinger, a partire dal 1980, espose le basi delle sue linee teoretiche e metodologiche. Poco dopo, in Francia, Anne Schützenberger mise a punto una tecnica che si potrebbe definire sorella delle costellazioni familiari, chiamata Sindrome degli Antenati. Qualche anno più tardi, negli anni ’90, due sorelle psicoterapeute del Mental Research Institute di Palo Alto, Doris e Lise Langlois, misero a punto un’altra tecnica simile, dandole il nome di psicogenealogia.

Hellinger (2006) ritiene che la vita di ognuno sarebbe condizionata da irretimenti del sistema- famiglia, che potrebbero essere portati alla luce attraverso il processo delle costellazioni familiari. Essere irretiti significa prendersi il destino di un altro, a propria insaputa. E per amore. Nelle costellazioni è evidente che i figli condividono i limiti e le energie della loro famiglia, indipendentemente dal fatto che i membri della famiglia stessa ne siano coscienti. Ci sono legami invisibili e non percepibili con tutti i membri della nostra famiglia. Il lavoro con le rappresentazioni mostra che la famiglia è un sistema o campo energetico relazionale, governato da regole precise che si perpetuano nel tempo, nel corso di generazioni. Le costellazioni familiari sono una “messa in scena”, riprodotta da rappresentanti, che in modo intuitivo ricreerebbero le interdipendenze esistenti tra i componenti di una famiglia o di un gruppo, permettendo in tal modo di evidenziare le presunte dinamiche inconsce che, nel suo modello, produrrebbero sofferenza in molti aspetti della vita (relazioni affettive, relazioni professionali, rapporto con il denaro e con la salute). Una costellazione familiare pertanto non è nient’altro che una rappresentazione relazionale e morfologica. Hellinger descrive questo approccio non come un trattamento psicoterapeutico, bensì come un incontro con la realtà. Se dalla rappresentazione senza copione pre definito scaturiscono miglioramenti, ciò è determinato dal riconoscere ciò che è; i cambiamenti avvengono, infatti, su piani e tempi non immediatamente riconoscibili. La costellazione non cura le malattie, ma cura l’anima e rimette in

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ordine le cose fuori posto nell’animo individuale e familiare. Consente di mettere ordine. Le malattie esprimono spesso problemi interiori e disordini sistemici, sono un tentativo del sistema corpo-anima-spirito di allentare la tensione che deriva da questo disordine. Si tratta però di un tentativo vano, perché va a scapito dell’organismo.La soluzione vera è eliminare il disordine.

Esistono alcuni principi che aiutano a comprendere il funzionamento del Sistema Familiare.

La legge dell’appartenenza. Ogni membro ha diritto di fare parte del sistema-famiglia e conseguentemente nessuno può esserne escluso. Quest o riguarda soprattutto i bambini abortiti o morti molto piccoli che di solito vengono dimenticati o addirittura non considerati come membri della famiglia. Anche persone escluse e dimenticate dalla famiglia a seguito di emarginazione sociale, menomazioni fisiche o mentali, carcerazione, omosessualità, emigrazione, scelte religiose, devono essere reintegrate nella famiglia, se ciò no n avviene saranno i successori a dover subire le conseguenze dell’esclusione e pagarne il prezzo, spesso rivivendo il destino degli antenati esclusi.

La legge dell’ordine sacro. All’interno della famiglia, ciascuno detiene una posizione unica, insostituibile e speciale in relazione a tutti gli altri, che dipende dal momento della nascita, e deve essere riconosciuta e rispettata per mantenere il sistema in armonia. I genitori vengono prima dei figli, i fratelli maggiori prima dei fratelli minori, perché la vita stessa segue un ordine temporale. Chi è arrivato prima ha più diritto di chi è arrivato dopo, se l’ordine viene sovvertito l’energia vitale cessa di fluire. La legge dell’equilibrio. Affinché vi sia equilibrio all’interno di un sistema, dovrebbe essere rispettata questa regola: i genitori dovrebbero “dare con amore”, ossia senza pretendere niente in cambio e i figli dovrebbero “ricevere con gratitudine”, ossia non lamentarsi o giudicare per quello che hanno ricevuto. L’amore cieco: il vincolo che unisce i figli ai propri genitori è un sentimento inconscio di natura biologica arcaica che supera l’effettiva mancanza di conoscenza o contatto (nel caso il figlio venga abbandonato e cresciuto da altre persone), o le problematiche relazionali (violenze, abusi, conflitti). É un amor e non solo senza condizioni, ma anche cieco, che spinge i figli a prendere inconsapevolmente su di sé il dolore e il destino dei propri genitori. Alcuni figli sono pronti a sacrificare la propria esistenza per i genitori e, nell’illusione di poterli salvare, si condannano a una vita di fallimenti, di solitudine, di malattia e addirittura di morte.

L’atteggiamento terapeutico

Hellinger (2006) sottolinea che l’elemento più importante per la buona e ottimale riuscita del lavoro

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sui sistemi è la posizione del terapeuta. Più che l’apprendimento di tecniche e procedure, è importante comprendere l’orientamento di fondo e i valori che guidano il lavoro. Si sceglie di avvalersi delle risorse piuttosto che affidarsi alle debolezze e si lavora più sulle soluzioni che sui problemi. Il terapeuta osserva ciò che è visibile, invece di lasciarsi guidare dalle proprie teorie, convinzioni personali o ideologie. Questo tipo di visione consente di creare un rapporto, senza esprimere giudizi su ciò che è bene e su ciò che è male, consentendo l’emergere del servizio che si rende all’amore e alla ricerca di soluzioni. Il vedere non conduce a una verità oggettiva, ma è una forza terapeutica che consente di compiere interventi nel rispetto e con amore, in un processo reciprocamente creativo che genera effetti sia sull’oggetto che sul soggetto di tale azione. Il vedere non è qualcosa che si può decidere di fare, poichéimplica l’aprirsi con curiosità a trame complesse e consentire l’emergere dell’essenziale. I terapeut i, pur agendo interventi, non hanno alcun controllo sull’uso che i pazienti potranno fare degli interventi stessi. Una presenza con il paziente, orientata alla libertà di scelta, alla possibilità della non azione, al vedere le risorse più che a creare interventi, crea uno spazio vuoto in cui può avvenire la guarig ione. Trattare i problemi come se comprenderli equivalesse a risolverli, è una tradizione onorata in psicoterapia; è invece molto facile fissarsi sul problema e ignorare la soluzione. I problemi sono tentativi falliti di amare e uno dei primi compiti del terapeuta è rintracciare il punto in cui il paziente ama; una volta trovatolo il terapeuta avrà la sua leva terapeutica. Aiutando il paziente a trovare un modo d’amare opportuno e maturo, il problema scompare e lo stesso amore che alimentava il problema lo risolve. Ciò che conduce alla soluzione sono l’amore e la capacità di vedere, il tutto al s ervizio della ricerca condivisa e collaborante di soluzioni. Hellinger (2006) sottolinea, inoltre, come le interpretazioni funzionino solo se attivano l’amore del paziente, se sono fatte su misura della persona e le toccano il cuore. Gli interventi funzionano solo se attivano l’amore del paziente, se lo sanciscono; la reazione del paziente è il criterio che si può utilizzare per valutare se l’in terpretazione è più o meno giusta. Se non si fa attenzione, rileggere in chiave positiva una situazione dannosa, rischia di diventare un intervento frutto di un capriccio che banalizza la gravità del la situazione e non funzionerà. Il tipo di interpretazione e rilettura che funziona nasce da una precisa visione di ciò che è; si offre ciò che si è visto alla consapevolezza del paziente. Descrivere ciò che si vede non significa interpretarlo, significa porsi in atteggiamento umile guidati dalla propria consapevolezza, proteggendosi altresì dal pericolo di credere di portare una verità assol uta rispetto alla situazione che si incontra. Esistono nessi psicologici e connessioni, esistono i legami, ma l’obiettivo non è trovare o rintracciare tutti i legami: la migliore psicoterapia limita i legami che i pazienti trovano, riducendoli all’essenziale.

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Aiutare in presenza di psicosi: la sofferenza di un sistema

Per Hellinger (2005), la psicosi esprime la sofferenza di un sistema e non rappresenta la sofferenza del singolo: dipende dall’anima della famiglia e per questo è possibile avvicinarvisi in modo sistemico e tramite le costellazioni familiari. Generalmente dietro la schizofrenia si cela un omicidio in famiglia, spesso un omicidio nascosto. Chi sviluppa una psicosi è confuso, perché deve accogliere nell’anima sia la vittima sia il carnefice. La soluzione è che vittima e carnefice riacquistino un posto, un ordine all’interno della famiglia. Ciò può avvenire quando vittima e carnefice, posti uno di fronte all’altro, si accettano e si accolgono nell’anima. Si tratta di un movimento in cui l’accoglienza può consentire di oc cupare un luogo in cui entrambi sono importanti. Un sistema semplice consiste nel scegliere un rappresentante per il padre e uno per la madre e osservare cosa accade; i movimenti dei rappresentanti mostreranno dove si trova l’essenziale. Attraverso la rappresentazione è possibile portare alla luce. Bisogna tenere presente che i movimenti dei rappresentati e del terapeuta sono all’interno di un campo in cui tutto è in risonanza; il terapeuta che tratta un paziente o una famiglia accede a tale campo e agisce in tale campo. Chi, come il terapeuta accede a tale campo, deve considerare la presenza di un campo personale di antenati, genitori e irretimenti propri che risuonano con il campo cui accede. Il terapeuta è dunque parte attiva e responsabile delle danze interattive, momento per momento: danze che, come suggerisce Bateson (1984), sono al contempo connesse nei livelli interpersonale, sociale e naturale: «Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?» ³. Il sistema e il campo sono quindi un tutto integrato, le cui proprietà non possono essere definite da nessuna delle singole parti, ma soltanto dalla loro configurazione e dalla loro relazione. Nel campo fenomenico, esiste una rappresentazione della struttura e di ciò che connette la struttura: l’assenza di un membro squilibra sia la struttura sia la rappresentazione fenomenica di essa. Come sostiene Kurt Lewin, il campo (dinamiche sociali e caratteristiche personali), risulta dalla totalità dei rapporti sociali dei soggetti co involti, evidenziando con ciò l’interdipendenza tra individuo e ambiente. Non c’è solo corpo, emozione,pensiero e anima, ma c’è anche contesto: è possibile comprendere molto meglio l’individuo se lo si vede all’interno del suo mondo vitale, del suo ambiente. In altri termini, i fenomeni si definiscono in base all’equilibrio creato dalle forze che

Gregory Bateson. Mente e Natura (1984, p.21)

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sono presenti nel campo: nel campo terapeutico, dunque, anche il terapeuta stesso ne fa parte e risuona con esso contribuendo all’equilibrio delle forze in essere. Rispetto alla gestione della psicosi, secondo Hellinger (2005), è dunque primariamente importante non guardare esclusivamente il cliente, ma il suo sistema, il campo da cui proviene. Bisogna osservare ciò che nel sistema non si è ancora riconciliato: ciò può non essere presente nei ricordi se si tratta di avvenimenti riguardanti antiche generazioni precedenti, e pertanto resta inconsapevole per gli attuali membri della famiglia. In ogni caso, se presente o non al ricordo, la rappresentazione del sistema evidenzia l’energia che continua ad agire. Nel caso della schizofrenia, questa energia proviene da un assassinio e da una vittima che non si sono ancora riconciliati: liberarsi dagli irretimenti e riconciliarsi, conduce a trovare pace nel sistema. Non appena si giudica, non è più possibile aiutare; non appena si prescrivono farmaci con l’idea che la situazione non possa cambiare, senza guardare l’intero sistema con amore, è difficile aiutare.

Connessioni

Gregory Bateson e Bert Hellinger, teoria sistemica e teoria delle costellazioni familiari. Sono molteplici le possibili connessioni fra le teorie nell’ambito della psicosi.

Se Bateson (1956) riconduce la psicosi ad una patologia relazionale e comunicativa, in cui assumono rilevanza le dinamiche double bind, la loro funzione omeostatica nel sistema famiglia e il mantenimento dell’equilibrio schizofrenico attraverso il “sacrificio” del paziente designato, Hellinger (2005) sottolinea come la psicosi esprima la sofferenza di un sistema in cui il paziente si trova irretito e confuso nel duplice ruolo di vittima e carnefice e come attraverso la rappresentazione sia possibile generare un momento di incontro in famiglia tra vittima e carnefice, per poter contribuire ad una soluzione generata dalle risorse provenienti dal sistema stesso. L’atteggiamento terapeutico necessario per contribuire a pervenire ad una risoluzione delle dinamiche psicotiche, assume particolare rilevanza. Hellinger (2005) sottolinea la necessità di osservare le persone con lenti “al di là del bene e del male”, ossia comprendendo come i grovigli sistemici generino la sofferenza del singolo e come la ricerca terapeutica di una soluzione non sia orientata alla ricerca di una verità assoluta. É qu indi necessario riconoscere che il campo di coscienza del terapeuta risuona con il campo di coscienza del paziente e della famiglia che si incontra: ciò potrebbe generare importanti connessi oni con l’epistemologia della II Cibernetica. Una terapia sistemica integrata per la psicosi, prevede la necessità di connettersi con un atteggiamento d i

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presenza mentale che sia estetico e sacro. Il sacro, per primo, è ecologico e con ciò non si cerca di dare una verità, ma di ampliare la domanda fornendo uno scheletro, un metodo, una struttura.

Quando giungiamo al sacro e all’estetica, siamo nella ricerca dell’ampiezza e del tutto. L’estetica può definirsi come uno sguardo unificante che ci re nde consapevoli di quell’unità delle cose. La coscienza è molto importante ma al tempo stesso infida, poiché compromette i nostri tentativi di giungere al sacro e all’estetica. La finalità di co scienza può diventare rapidamente distruttiva. Riceviamo i prodotti delle nostre attività mentali, le immagini, ma la creazione di queste immagini sta al di là di noi; è un procedimento miracoloso e straordinario. Ciò di cui alla fine siamo coscient i è una sottrazione della totalità e la totalità non può essere riferita alla coscienza. La coscienza sa rà sempre selettiva. Quando giungiamo al sacro e all’ estetica, siamo nella ricerca dell’ampiezza e del tutto, mentre la coscienza tende a concentrarsi, per questo la coscienza non può essere la guida principale. Il danno è la separazione, la sacralità è l’unione. Il sacro è la connessione e non il prodotto della spaccatura. Quando la relazione viene danneggiata e si giunge ad un sintomo psicotico, dal terapeuta si esige che comprenda la natura di tale danno: se il terapeuta cerca con il paziente di riportarlo nel nostro mondo, si direzione verso l’idea di manipolazione orientata alla cura. Lo schizofrenico prende il metaforico per l’assoluto e se i terapeuti agiscono le stesse dinamiche in merito alla cura, agiscono con la stessa confusione schizofrenica. Il paradigma è questo: curare il sintomo per rendere il mondo confortevole per la patologia, o scrutare nel futuro cercando di scorgere sintomi e disagi che verranno. Il medico che si concentra sui sintomi rischia di proteggere o di incoraggiare la patologia di cui i sintomi fanno parte. A causa di un forte dolore fisico, si può prendere un analgesico, oppure si pu ò gemere e sopportare, o ancora si può considerare il contesto sistemico in cui il dolore è nato, agendo così sul messaggio del dolore. Il dolore, però, potrà continuare a persistere anche q uando se ne sarà notata l’esistenza e questo accadrà forse perché il messaggio del dolore cambierà nel tempo al persistere del dolore. Un dolore nuovo attira l’attenzione sulla parte che duole e se questo fosse l’unico messaggio del dolore, chi soffre sarebbe spinto a curare solo il sintomo; ma il dolore può continuare e continuare e allora il messaggio cambia: chi soffre è costretto ad esaminare e magari curare zone di pertinenza più vaste, e dovrebbe essere spinto a passare dalla coscienza del sintomo alla cura del sistema più vasto. Il problema è passare dalla considerazione della partealla considerazione del tutto.

Date queste premesse, risulterebbe comprensibile una terapia che non si direziona verso l’idea di una manipolazione orientata alla cura né verso un focus terapeutico che curi esclusivamente il sintomo senza connetterlo al sistema più vasto in cui esso si costruisce. Esitare come gli angeli in una relazione sacra, ponendosi con umiltà e consape volezza paziente, potrebbe essere una possibile

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lente integrata per costruire una relazione terapeutica che sia qualitativamente migliore e che conduca a generare circoli virtuosi di consapevolezza reciproca.

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